In primo piano

martedì 14 settembre 2010

Problemi di comunicazione

http://www.wikio.it


[update 2: se prima eravamo in due, adesso siamo in tre, con Gianni Mura che dice: "te li raccomando i creativi"]

[update: siamo solo io e Jacopo Fo a pensarla così: "Ai progressisti manca un po' il sorriso".]


E' impossibile per chi scrive trattenere le proprie opinioni distruttive anche se è giusto dire che esse sono simolate non da irrefrenabili impulsi interni, quanto piuttosto dagli stimoli incomprensibili alla logica più spiccia che provengono sempre più spesso dall'esterno. E' quindi per me praticamente impossibile evitare un'analisi più dettagliata dei modi della campagna elettorale messa in piedi da Bersani per il PD.




Apro una breve parentesi: è ovvio che le campagne pubblicitarie (è di questo che si parla quando ci riferiamo alle campagne elettorali, è bene rendersene conto il prima possibile) siano ideate e realizzate da professionisti, probabilmente anche molto affermati quando si tratta di campagne così importanti (anche se bisogna dire che gli intrallazzi romani potrebbero far intuire che anche in questi casi si possa registrare la minima possibilità che il lavoro sia stato appaltato agli amici degli amici, senza badare al merito acquisito di chi fa questo lavoro).

Quindi, può sembrare spocchioso, anche se proprio per questo coerente con i modi di chi scrive, andare a criticare dei manifesti dietro ai quali si suppone ci sia stato un grande lavoro creativo. Però, c'è da dire anche che, sempre, le campagne pubblicitarie di un prodotto o di un politico vengono orchestrate da chi le commissiona il quale indica gli scopi ed i messaggi che esse devono veicolare.


Di conseguenza, più che ai realizzatori della campagna, le critiche andrebbero in questo caso rivolte a Bersani, nella convinzione che il messaggio che egli vuole trasmettere agli elettori non sia efficace ai fini del successo elettorale. Parentesi nella parentesi: le campagne pubblicitarie elettorali servono per incrementare la possibilità di raccogliere più voti possibili per potere poi andare a governare. Per fare ciò, esse si dovrebbero rivolgere agli indecisi e non dovrebbero mirare a consolidare le idee di chi, al di là di qualsiasi campagna elettorale, voterebbe il partito o il candidato pubblicizzato in ogni caso. Quindi, dovrebbero mirare a convincere più che a rassicurare. Chiuse entrambe le parentesi.

La campagna elettorale di Bersani vuole evidentemente essere un inno alla concretezza ed al lavoro (tra l'altro 'lavoro' mi pare ad intuito fosse stata una delle parole da lui più usate nel suo discorso). Il segretario ci trasmette quest'idea attraverso la compattezza e la pragmaticità di una semplice scritta in nero su bianco, regolare e senza fronzoli. Tale scritta viene coerentemente affiancata alla foto del leader, con le maniche della camicia arrotolate, lo sguardo fermo e la cravatta allentata. Ciò che si vuole trasmettere è ovvio sia la voglia di lavorare per cambiare le cose, la necessità di dover sudare per poter rimettere in corsa un paese che dopo i governi Berlusconi è allo stremo delle proprie forze. E questo, appunto, è il problema maggiore di questa campagna pubblicitaria: il paese è allo stremo delle proprie forze (ci ritornerò, ma ricordatevi di questa constatazione).

Oltre alla foto del leader, tutta l'estetica dei futuri cartelloni è coerente (come è giusto che sia) con il messaggio che viene enunciato dagli slogan: rimbocchiamoci le maniche. In altre parole, tenendo a mente l'accento romagnolo del segretario del PD, sarebbe come dire: ragazzi, siamo allo sbando, è ora di fare i seri e di lavorare.

Bene, questo è il messaggio che viene trasmesso e sarete tutti d'accordo nell'affermare che è ciò che Bersani vuole comunicare agli elettori. Ecco, per me è un messaggio sbagliato, per diverse ragioni.

Innanzitutto, esso è rivolto ad un target di elettori (dovrebbero essere gli indecisi, come detto prima) che le maniche se le sono rimboccate già da tempo e che, probabilmente, tutto vogliono sentirsi dire tranne che ci sarà ancora da soffrire. Poi, è un messaggio in sè triste (certo in linea con la cultura di sinistra) proprio poichè toglie speranza e mostra orrizzonti grigi e difficili, esattamente come a prima vista fa intuire quella scritta nera su bianco, con quei caratteri fini e deboli come dei sospiri che non riescono a togliermi dalla mente i manifesti funerari che ci sono in ogni paesello italiano.

I politici, i leader, in una democrazia bipolare che accentra in entrambe le opposte parti le sue attenzioni in modo personalistico su degli individui, devono per forza essere in grado di trasmettere un'idea, un sogno, una speranza per un futuro migliore, di sicuro non la certezza di un futuro peggiore. Promettere il peggio sarebbe un controsenso e fare il contrario non ha nulla del populismo del quale vengono spesso accusati quelli come Vendola, o anche Berlusconi, la cui unica colpa è quella di sperare per il meglio (nel caso di Berlusconi siamo consapevoli che è puro marketing senza contenuti reali). D'altra parte, tutti sanno che essere migliori richiede fatica e sudore e non c'è certo bisogno che ciò venga ricordato ad ogni angolo con poster di 6x12 metri fatti apposta per incupire le già grigie e caotiche città italiane.

Di nuovo, pensate allo "Yes, We can" di Obama. Pensate al sorriso ed allo slancio di un simile motto, alla voglia che trasmette, alla fiducia che emana. Tra l'altro, tale slogan è perfino molto diverso dal troppo umile "Si può fare" di Veltroni, al quale non mancammo di criticare l'americanizzazione troppo letterale della sua campagna elettorale. Infatti, il "Si Può Fare", pur se tradotto e adattato in italiano, nulla ha a che vedere con un convinto "Yes, We Can". Il primo è meno possibilista, più incerto, più aggrappato al fato che alla concretezza mentre il secondo, con la prima persona plurale (anzichè il modo indefinito del "si può") è più integrante, coinvolgente e stimolante: ingloba le persone e non le lascia in balia della realtà. Certo il verde e la grafica furono molto azzeccate, ma in quel contesto altro era ciò che veniva richiesto. In quel momento storico bisognava essere più agguerriti (un "Noi Possiamo", più duro e decisamente contrapposto agli altri, sarebbe andato meglio).

Per concludere, i leader dovrebbero interpretare la voglia di cambiamento dei cittadini elettori e con loro essere i protagonisti del cambiamento. Chiedere di nuovo agli italiani, da parte della sinistra, sforzi, lacrime e duro lavoro anzichè proporre un futuro migliore fatto di meno mafia, più scuola, più uguaglianza, più cultura, più energia rinnovabile, dimostra una volta di più, purtroppo,

la difficoltà cronica da parte della sinistra di capire i propri elettori.

Share/Bookmark

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...