
Tutti si ricordano del film La Dolce Vita grazie alla graziosa scena in cui Sylvia (Anita Ekberg) chiama alla vita Marcello (Marcello Mastroianni), invitandolo con lei a tuffarsi nella splendida fontana di Trevi. Eppure il film, che dura quasi tre ore, è molto diverso dal mito che quella scena ha contribuito a creare nel corso dei decenni ed è molto più amaro di quanto essa faccia pensare.
Aldilà del simbolismo spinto che emerge sia dalla storia in sè che dalle immagini attraverso le quali essa viene descritta (anche Pasolini ha partecipato all'ideazione del film, il che è tutto dire), aldilà delle indiscusse capacità tecniche e della creatività del regista che ha concepito e realizzato il film, altro è il motivo per cui ne consiglio la visione oggi.
Marcello, il protagonista, è un giornalista a caccia di notizie nella movida romana che parte ogni sera da Via Veneto, tra attori, attrici, attricette, perditempo, giovani in cerca di celebrità e quant'altro per finire ogni volta in un luogo diverso: in una casa di nobili nullafacenti oppure in uno squallido appartamento, per di più allagato, di una delle tante deserte periferie romane, in una villa di qualche ricco produttore, in una campagna non illuminata o tra i monumenti ed i vicoli della Roma imperiale.
Marcello si veste bene, ama le donne, i vizi e soprattutto i piaceri che solo la notte sa offrire ogni volta in modo diverso, ma uguale alla notte precedente: esattamente come accade nei sogni.
Durante la sua frenetica esistenza egli incontra e si scontra con tutta la varietà esistenziale che solo la ricchezza culturale di una città come Roma sa offrire: la bionda attrice che scesa dal cielo come un'epifania con la sua smaliziata ingenuità e bellezza sconvolge qualsiasi cosa si trovi sul suo cammino, l'artista alcolizzato a corto d'ispirazione, l'attore eclettico con la barba da imperatore romano che si è fatto crescere per recitare in qualche colossal prodotto a Cinecittà, le povere prostitute che si danno da vivere sperando in qualche camionista, i salotti buoni degli artisti di successo dove si chiacchiera di poesia e altre amenità filosofeggiando sulla misera vita che siamo costretti a vivere, i due uomini travestiti da donna che, nonostante a quei tempi non esistessero cerette e silicone non vanno presi in giro poichè "uno è il fidanzato di un senatore", il fotografo che, pur di acchiappare una notizia, gode delle disgrazie e dei delitti più efferati, il produttore/manager/pubblicitario/agente tuttofare sempre impegnato in affari e pubbliche relazioni.
E poi le feste nei locali più diversi, tra donne mascherate da tigri ammaestrate, ballerine francesi e spettacoli arabeschi, vecchiette agghindate come alberi di natale che nonostante l'età presenziano annoiate e stanche a party e cene, nobili discendenti di papi e marchesi che, tra modelle e artisti, si prodigano in sedute spiritiche a scopo propiziatorio, folle di poveri disgraziati che, pur di avere qualche speranza, si aggrappano alle apparizioni della vergine inventate da due bambini dispettosi e altro ancora, e tutto quello che lo spettro della condizione umana possibilmete è in grado di offrire.

Tutti fanno parte di uno stesso grande spettacolo assumendo un ruolo particolare, definito o meno, nella messa in scena più degradante e insensata dell'universo: la vita.
Ebbene, guardare il film La Dolce Vita oggi fa inevitabilmente pensare alle inutili chiacchiere odierne, a Corona (il Marcello dei nostri tempi), a Villa Grazioli, a Lele Mora, a Marrazzo e Brenda, a Paris Hilton, a Marta Marzotto, ai senatori cocainomani e via discorrendo, nella constatazione rassicurante che, cinquantanni dopo, pur cambiando l'intensità di ciò che accade,
noi rimaniamo sempre gli stessi.
Aldilà del simbolismo spinto che emerge sia dalla storia in sè che dalle immagini attraverso le quali essa viene descritta (anche Pasolini ha partecipato all'ideazione del film, il che è tutto dire), aldilà delle indiscusse capacità tecniche e della creatività del regista che ha concepito e realizzato il film, altro è il motivo per cui ne consiglio la visione oggi.
Marcello, il protagonista, è un giornalista a caccia di notizie nella movida romana che parte ogni sera da Via Veneto, tra attori, attrici, attricette, perditempo, giovani in cerca di celebrità e quant'altro per finire ogni volta in un luogo diverso: in una casa di nobili nullafacenti oppure in uno squallido appartamento, per di più allagato, di una delle tante deserte periferie romane, in una villa di qualche ricco produttore, in una campagna non illuminata o tra i monumenti ed i vicoli della Roma imperiale.
Marcello si veste bene, ama le donne, i vizi e soprattutto i piaceri che solo la notte sa offrire ogni volta in modo diverso, ma uguale alla notte precedente: esattamente come accade nei sogni.
Durante la sua frenetica esistenza egli incontra e si scontra con tutta la varietà esistenziale che solo la ricchezza culturale di una città come Roma sa offrire: la bionda attrice che scesa dal cielo come un'epifania con la sua smaliziata ingenuità e bellezza sconvolge qualsiasi cosa si trovi sul suo cammino, l'artista alcolizzato a corto d'ispirazione, l'attore eclettico con la barba da imperatore romano che si è fatto crescere per recitare in qualche colossal prodotto a Cinecittà, le povere prostitute che si danno da vivere sperando in qualche camionista, i salotti buoni degli artisti di successo dove si chiacchiera di poesia e altre amenità filosofeggiando sulla misera vita che siamo costretti a vivere, i due uomini travestiti da donna che, nonostante a quei tempi non esistessero cerette e silicone non vanno presi in giro poichè "uno è il fidanzato di un senatore", il fotografo che, pur di acchiappare una notizia, gode delle disgrazie e dei delitti più efferati, il produttore/manager/pubblicitario/agente tuttofare sempre impegnato in affari e pubbliche relazioni.
E poi le feste nei locali più diversi, tra donne mascherate da tigri ammaestrate, ballerine francesi e spettacoli arabeschi, vecchiette agghindate come alberi di natale che nonostante l'età presenziano annoiate e stanche a party e cene, nobili discendenti di papi e marchesi che, tra modelle e artisti, si prodigano in sedute spiritiche a scopo propiziatorio, folle di poveri disgraziati che, pur di avere qualche speranza, si aggrappano alle apparizioni della vergine inventate da due bambini dispettosi e altro ancora, e tutto quello che lo spettro della condizione umana possibilmete è in grado di offrire.

Tutti fanno parte di uno stesso grande spettacolo assumendo un ruolo particolare, definito o meno, nella messa in scena più degradante e insensata dell'universo: la vita.
Ebbene, guardare il film La Dolce Vita oggi fa inevitabilmente pensare alle inutili chiacchiere odierne, a Corona (il Marcello dei nostri tempi), a Villa Grazioli, a Lele Mora, a Marrazzo e Brenda, a Paris Hilton, a Marta Marzotto, ai senatori cocainomani e via discorrendo, nella constatazione rassicurante che, cinquantanni dopo, pur cambiando l'intensità di ciò che accade,
noi rimaniamo sempre gli stessi.


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