
Disclaimer: il seguente articolo è puramente motivazionale.
E' difficile parlare di una nazionale che ormai non riesce più a risvegliare neanche quel poco di patriottismo rimasto e che puntuale si dovrebbe riproporre almeno durante i mondiali di calcio. Di conseguenza, è praticamente impossibile mostrare anche il benchè minimo barlume di ottimismo tra l'altro, già anticipatamente scomparso addirittura alla prima giornata.
Dunque, si è assistito all'ennesimo pareggio, raggiunto stavolta contro una nazione di cui siamo soliti sentir parlare solo grazie alle costanti e puntuali umiliazioni che procura alla nazionale di rugby. Consolazione, almeno in quei casi, per salvaguardare un pubblico sempre più ipocrita di ignoranti finto-intenditori 'à la mode', i quotidiani di solito titolano fieri con frasi del tipo: "Un'Italia coraggiosa resiste per mezz'ora agli All-Blacks", oppure "L'Italia non sfigura contro i giganti Maori", dimenticandosi naturalmente di riportare il non irrilevante punteggio con il quale era terminata la partita.
In questo caso invece, la triste partita contro la Nuova Zelanda, squadra materasso del girone più facile del mondiale, è servita a sollevare dei dubbi eventuali ai molti che già avevamo prima dell'inizio dei mondiali, derivanti magari anche da alcuni pregiudizi giustificabili dalla poco corretta condotta etica e legale di colui che ha il compito di allenare gli aitanti rappresentanti della patria.
Innanzitutto è difficile capire quali siano i meccanismi logici che spingono Marcello Lippi il maestro a prendere delle decisioni che egli stesso, dal 45' minuto in poi si prende la briga di bollare come totalmente sbagliate, visti i cambi che ogni volta è costretto a fare.
Se all'inizio dei mondiali non aveva capito che con questi giocatori fosse impossibile anche lontanamente imitare l'Inter pigliatutto di quest'anno (la quale evidentemente non aveva solo il gruppo come arma segreta) e che tra l'altro egli aveva dato come spacciata nei confronti della Juve di nuovo corso, e sia stato quindi costretto a cambiare in corsa il modulo con il quale affrontare quest'evento in modo dignitoso, ci si chiede quanto tempo ancora impiegherà per capire quali debbano essere gli interpreti di tale modulo, sperando che i cambi effettuati tra il primo ed il secondo tempo siano un segno seppur labile della non scomparsa definitiva della sua sanità mentale. Dubbio purtroppo assecondato anche dalla consapevolezza che è ormai impossibile tornare indietro per rimediare a delle scelte che ora si stanno rivelando totalmente sbagliate. Per chi non l'avesse capito, il riferimento è a quelle che ormai bisogna rassegnarsi a chiamare ridicole convocazioni, visto che usare l'aggettivo 'testarde' riferendosi ad esse attraverso il caratteraccio del nostro guru del calcio significherebbe usare un eufemismo giustificatorio inutile.
In altre parole, si spera vivamente che alla prossima decisiva partita l'undici in campo dai primi minuti sia quello più preparato e non le solite scamorse che ci siamo dovuti sciroppare per una partita e mezza. Di Natale, Pazzini e Camoranesi dovrebbero partire titolari sempre, essendo essi gli unici che possono fare qualcosa di costruttivo in questa squadra tutta gruppo e niente cervello, in modo da non constringere l'Italia tutta a dover rimpiangere costantemente Cassano da Bari il quale noncurante e superiore se la sposa beato (convocare Pazzini e non Cassano, il fautore principale della gloria del primo, è un segno dello sbilanciamento psicologico del CT della nazionale italiana, chiaramente afflitto da un pericoloso sdoppiamento della personalità).
In fin dei conti, la realtà dei fatti è un'altra. Ad ogni pareggio che dio ce lo manda, durante le loro interviste, giocatori, medici, allenatori e accompagnatori non ufficiali, ci continuano a ripetere come in Sud Africa siano andati i migliori e come a casa non sia stato lasciato nessuno che possa cambiare le sorti di una partita. Se permettete, tutte queste remore che tendono a calmare un'idea che sembra balenare nelle menti di tutti gli italiani tranne uno (Lippi), sanno tanto di coda di paglia e suonano come le frasi dette dai politici quando corrono davanti ai microfoni per smentire tutte quelle verità che, se non fossero venute a galla, non avrebbero avuto bisogno di essere smentite.
Detto in altre parole, questa squadra possiamo chiamarla gruppo, ma è prova provata di corporativismo, di chiusura mentale, di incapacità cronica di aprirsi al diverso e finanche di razzismo nei confronti di chi non si prostra ai valori costituiti di chi si è impossessato del territorio calcistico nazionale.
Con i tristi corollari di immobilismo e annullamento della meritocrazia tipici della cultura italiana. E vincere così, detto francamente, è impossibile.
Speriamo in meglio. Saremo i primi ad accoglierlo, questo fantomatico meglio.
Dunque, si è assistito all'ennesimo pareggio, raggiunto stavolta contro una nazione di cui siamo soliti sentir parlare solo grazie alle costanti e puntuali umiliazioni che procura alla nazionale di rugby. Consolazione, almeno in quei casi, per salvaguardare un pubblico sempre più ipocrita di ignoranti finto-intenditori 'à la mode', i quotidiani di solito titolano fieri con frasi del tipo: "Un'Italia coraggiosa resiste per mezz'ora agli All-Blacks", oppure "L'Italia non sfigura contro i giganti Maori", dimenticandosi naturalmente di riportare il non irrilevante punteggio con il quale era terminata la partita.
In questo caso invece, la triste partita contro la Nuova Zelanda, squadra materasso del girone più facile del mondiale, è servita a sollevare dei dubbi eventuali ai molti che già avevamo prima dell'inizio dei mondiali, derivanti magari anche da alcuni pregiudizi giustificabili dalla poco corretta condotta etica e legale di colui che ha il compito di allenare gli aitanti rappresentanti della patria.
Innanzitutto è difficile capire quali siano i meccanismi logici che spingono Marcello Lippi il maestro a prendere delle decisioni che egli stesso, dal 45' minuto in poi si prende la briga di bollare come totalmente sbagliate, visti i cambi che ogni volta è costretto a fare.
Se all'inizio dei mondiali non aveva capito che con questi giocatori fosse impossibile anche lontanamente imitare l'Inter pigliatutto di quest'anno (la quale evidentemente non aveva solo il gruppo come arma segreta) e che tra l'altro egli aveva dato come spacciata nei confronti della Juve di nuovo corso, e sia stato quindi costretto a cambiare in corsa il modulo con il quale affrontare quest'evento in modo dignitoso, ci si chiede quanto tempo ancora impiegherà per capire quali debbano essere gli interpreti di tale modulo, sperando che i cambi effettuati tra il primo ed il secondo tempo siano un segno seppur labile della non scomparsa definitiva della sua sanità mentale. Dubbio purtroppo assecondato anche dalla consapevolezza che è ormai impossibile tornare indietro per rimediare a delle scelte che ora si stanno rivelando totalmente sbagliate. Per chi non l'avesse capito, il riferimento è a quelle che ormai bisogna rassegnarsi a chiamare ridicole convocazioni, visto che usare l'aggettivo 'testarde' riferendosi ad esse attraverso il caratteraccio del nostro guru del calcio significherebbe usare un eufemismo giustificatorio inutile.
In altre parole, si spera vivamente che alla prossima decisiva partita l'undici in campo dai primi minuti sia quello più preparato e non le solite scamorse che ci siamo dovuti sciroppare per una partita e mezza. Di Natale, Pazzini e Camoranesi dovrebbero partire titolari sempre, essendo essi gli unici che possono fare qualcosa di costruttivo in questa squadra tutta gruppo e niente cervello, in modo da non constringere l'Italia tutta a dover rimpiangere costantemente Cassano da Bari il quale noncurante e superiore se la sposa beato (convocare Pazzini e non Cassano, il fautore principale della gloria del primo, è un segno dello sbilanciamento psicologico del CT della nazionale italiana, chiaramente afflitto da un pericoloso sdoppiamento della personalità).
In fin dei conti, la realtà dei fatti è un'altra. Ad ogni pareggio che dio ce lo manda, durante le loro interviste, giocatori, medici, allenatori e accompagnatori non ufficiali, ci continuano a ripetere come in Sud Africa siano andati i migliori e come a casa non sia stato lasciato nessuno che possa cambiare le sorti di una partita. Se permettete, tutte queste remore che tendono a calmare un'idea che sembra balenare nelle menti di tutti gli italiani tranne uno (Lippi), sanno tanto di coda di paglia e suonano come le frasi dette dai politici quando corrono davanti ai microfoni per smentire tutte quelle verità che, se non fossero venute a galla, non avrebbero avuto bisogno di essere smentite.
Detto in altre parole, questa squadra possiamo chiamarla gruppo, ma è prova provata di corporativismo, di chiusura mentale, di incapacità cronica di aprirsi al diverso e finanche di razzismo nei confronti di chi non si prostra ai valori costituiti di chi si è impossessato del territorio calcistico nazionale.
Con i tristi corollari di immobilismo e annullamento della meritocrazia tipici della cultura italiana. E vincere così, detto francamente, è impossibile.
Speriamo in meglio. Saremo i primi ad accoglierlo, questo fantomatico meglio.


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