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venerdì 27 agosto 2010

La scienza calcistica

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Welcome to Rafa-world è il messaggio di un tifoso del Liverpool che mi è arrivato al triplice fischio della finale di Supercoppa Europea. Evidentemente l'allenatore spagnolo, nonostante la Champions League vinta, non ha lasciato un buon ricordo di sè al di là della manica. Nonostante sia troppo facile criticarne le mosse ora, subito dopo una sconfitta importante, è comunque opportuno analizzarla nei dettagli per evidenziarne le cause. Bisogna però partire da lontano, più precisamente dal primo anno di Mourinho all'Inter.

In quell'anno, l'allenatore portoghese cercò subito di imporre le proprie idee tattiche alla squadra che, ricordiamolo, era già diventata vincente anni prima con l'arrivo di Roberto Mancini. In particolare, cercò di riprodurre nell'Inter il modulo al quale era stato fedele anche al Chelsea. Non riuscì nel suo intento e poco dopo si adeguò ai limiti dei suoi giocatori, o alle loro abitudini (chiamatele come volete), e ritornò mestamente dal 4-3-3 al 4-4-2 con il rombo a centrocampo. Così vinse il campionato. Nell'anno successivo cambiò mezza squadra (il 45% dei titolari per l'esattezza) e, dopo un rodaggio durato solo qualche settimana, mise in piedi una corazzata imbattibile che basava la sua forza soprattutto sui due attaccanti esterni, Eto'o e Pandev, i quali difendevano con vigore aprendo la strada a Zanetti e soprattutto Maicon sulle fasce, e attaccavano con regolarità, permettendo a Milito di segnare un'infinità di gol e a Sneijder di poterlo servire con genialità.


Solo in questo secondo ed ultimo anno di Mourinho all'Inter, si sono eccezionalmente succeduti e completati tutti i livelli che contraddistinguono l'influenza di un allenatore sulla propria squadra e sui suoi risultati. Essi sono tre, ed il loro completamento, insieme alla sciagurata stagione dell'anonimo Pellegrini al Real Madrid, hanno fatto sì che il genio portoghese decidesse poi di trasferirsi in Spagna (non lo avesse fatto in quel momento, avrebbe dovuto attendere altri 2 anni almeno, rischiando tra l'altro di trovarsi ad allenare una squadra a fine ciclo).

Ad un primo livello si trovano le idee che l'allenatore ha il compito di trasmettere alla squadra. Ad un secondo livello c'è poi l'applicazionde di tali idee sul campo da parte della squadra ed infine, ad un terzo livello, si hanno i risultati che l'applicazione di tali idee hanno in termini di vittorie o sconfitte (usando termini inglesi, potremmo sintetizzarli così: input, implementation, outcome).

Nel caso di Benitez, contro l'Atletico Madrid, la squadra messa in campo era confusa e impotente e putroppo non lo era a causa della forma fisica precaria derivante dalla preparazione o dal caldo alla quale si appellano spesso i giornalisti ed i telecronisti che riescono a ragionare solo per luoghi comuni. Era confusa a causa del fatto che il rapporto tra squadra e allenatore, è ancora miseramente al primo livello, alla fase di input, e forse è ancora lungi dal completarlo.

Lo si è potuto notare dalla disorganizzazione derivante dalla differenza di modulo con cui la squadra è stata presentata, seppure identica nei giocatori messi in campo. Infatti, invece che con il 4-3-3 di cui tutti conosciamo le caratteristiche, l'Inter ha giocato con un 4-3-1-2 che si è rivelato alla fine affascinante solo sulla carta. Manco a dirlo, con questo tipo di modulo, tutti e tre i reparti si sono trovati in difficoltà e la squadra non è stata in grado nè di difendere bene nè di attaccare. Soprattutto, a centrocampo, Zanetti, Stankovic e Cambiasso non sono riusciti a far quadrare il troppo traffico che la loro presenza contemporanea ha creato nel mezzo del campo. Di conseguenza poi, anche Sneijder è andato in difficoltà e, con una reazione a catena impressionante, lo stesso Milito non è riuscito a dare il meglio di sè, essendo stato spesso costretto ad andare a prendersi palloni a centrocampo o sulle linee laterali, non dirigendosi verso la porta avversaria, ma appunto correndo a recuperarseli verso il proprio centrocampo. Questo tipo di movimento lo ha inevitabilmente stancato e ha tolto profondità a tutta la squadra. L'unico a trovarsi a proprio agio è sembrato Eto'o, il quale partendo da sinistra e finalmente sollevato dagli incarichi di copertura al quale si era abituato con Mourinho, è riuscito a fare un paio di dribbling e a tirare in porta. Purtroppo però, un giocatore non basta quando tutta la squadra gira a vuoto.

Il centrocampo a tre e la mancanza di ali che coprissero anche in difesa sulle fasce, ha poi fatto sì che sia Maicon che Chivu si siano costantemente trovati in difficoltà contro gli attaccanti della squadra spagnola i quali, tra l'altro, non erano proprio gli ultimi arrivati. E non solo si sono trovati in difficoltà in fase difensiva, ma non sono neanche riusciti ad attaccare. Infatti, attaccare da soli sulle fasce quando il resto della squadra è ingolfato a centrocampo e nessuno ti aiuta sulla tua corsia (magari con la sola presenza per poter almeno portare via un difensore) diventa molto più difficile.

In altre parole, l'Inter con Benitez è ancora ad un livello primordiale, una squadra 'in progress', non ancora sviluppata e vulnerabile. Anche se, francamente, rimangono dei seri dubbi sul fatto che le idee di Benitez, quand'anche vengano applicate alla lettera, siano utili a vincere.

Il campionato italiano ci darà una risposta.

Buon lavoro Rafa.

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