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martedì 5 aprile 2011

piccoli tabù

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Ci sono dei giornalisti italiani che stanno diventando una mia personalissima ossessione e, nonostante questo dica molto sulla mia salute mentale, anche oggi devo assecondare il tragico bisogno di puntualizzazione moralizzatrice che ciò mi provoca.

Beppe Severgnini, sempre lui, dopo aver espresso un'opinione per niente illuminata sui gay, stavolta se l'è presa con le diciannovenni che vestono in abiti succinti e che hanno l'aggravante di essere carine e "pettorute". In particolare si riferisce alla figlia di un suo amico che l'ha accolto in casa semivestita con tranquillità, mentre tra l'altro stava aspettando degli operai che dovevano fare dei lavori in casa. Il nostro prode, preoccupatissimo, si è quindi armato di bigotto paternalismo e in uno slancio di dovuto eroismo si è preso la briga di sorprendere la fanciulla con i suoi dubbi estetici e morali, dovuti al supposto trogloditismo di alcuni rozzi rappresentanti del genere umano maschile, evidentemente incapaci di trattenere i propri istinti sessuali di fronte a cotanto ben di dio.

Sarebbe ora troppo complicato e dispendioso spiegare qui tutti i risvolti psico-sociali che un comportamento di questo tipo fanno evincere a chiunque abbia la sanità psichica di capire quanto essi derivino da una cultura trapassata nel finto moralismo e nell'ipocrisia di quelle società che consideravano il sesso come un tabù, a causa soprattutto delle pressioni esercitate da quei gruppi di potere che attraverso di esse imponevano i propri voleri sulle masse.

Ma si noti semplicemente come in realtà il monito del preoccupatissimo signore non venga fatto nei confronti della tranquillissima quanto avvenente donzella, ma quanto inconsciamente esso sia una pratica auto-assolutoria deviatamente rivolta a se stesso, avvenuta dopo aver trasferito le proprie paure e le proprie incertezze sui poveri operai, probabilmente, tra l'altro, sempre troppo stanchi per pensare allo sforzo di organizzare e mettere in atto una violenza sessuale degna di questo nome. (Naturalmente questa constatazione non è personale, ma deriva dall'ovvia irrazionalità di chi crede che sia semplicemente il modo di vestire a provocare un'eventuale violenza.)

E' comunque questo il tipico atteggiamento delle classi sociali che detengono il potere economico e che quindi producono cultura all'interno della società: trasferire le proprie ansie negli altri (spesso nelle maggioranze più povere ed influenzabili) ed imporre comportamenti che assolvano queste paure in modo da censurare il proprio inconscio, suscitando inoltre moralismo e ipocrisia in coloro che non rendendosi conto di essere schiavi di questo meccanismo, lo supportano e lo incrementano con la loro ignoranza.

Salvo poi dedicarsi con assidua frequenza alle attività che essi stessi deprecano scandalizzati in pubblico, felici e contenti di essersi precedentemente liberati dei propri peccati attraverso i propri moralismi.

Certo non sarà il caso di Severgnini, il quale ragiona in questo modo solo perché vittima di alcuni rimasugli culturali che derivano probabilmente dall'educazione ricevuta (il padre era notaio), ma basta pensare all'omofobia della chiesa cattolica (cioè dei preti, di una congrega di uomini che spesso convivono in comuni chiamate conventi, alla faccia dei pacs) o a tutti quegli atteggiamenti di ingiustificato machismo di quegli estremisti di destra che si sono poi rivelati essere anch'essi omosessuali, per farsi un'idea di cosa stiamo parlando.

Insomma, la paura del proprio essere è il più grande nemico dell'uomo.

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